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A FIRENZE CONVEGNO NAZIONALE SULL'ALZHEIMER
In un paese che invecchia sempre di più, è necessario e urgente trovare nuove risposte per far fronte, in modo efficace, ai bisogni. In questo scenario, un ruolo centrale lo rivestono i manager del sociale e del sociosanitario che martedi 17 settembre si riuniranno a Firenze nell'ambito del ciclo di incontri nazionale organizzato da Ansdipp, associazione nazionale dei manager del sociale e del sociosanitario, che quest'anno festeggia il suo 25° anno.
"Strategie possibili per il futuro dell'Alzheimer" è il titolo del convegno, che rappresenta un'occasione preziosa per promuovere informazione e cultura dei servizi alla persona, attraverso testimonianze e rappresentazioni di buone prassi e di approccio sistemico a una forma di demenza in costante aumento. Reti integrate, innovazione, approcci e metodologie saranno i temi del convegno, che anticipa di pochi giorni la giornata mondiale sull’Alzheimer del 21 settembre. L'incontro si svolgerà dalle ore alle ore 16 del 17 settembre nella sede del CSF “Il Fuligno”, via Faenza 48, Firenze.
Per "demenza" si intende un declino progressivo delle facoltà mentali che in un più o meno lungo intervallo di tempo causa gravi handicap all'individuo. Circa il 70% delle demenze progressive dell'adulto è causato dalla malattia di Alzheimer. I pazienti con la malattia di Alzheimer giungono negli stadi avanzati della patologia a non poter più svolgere nessuna attività autonoma, vivendo uno stato di assoluta dipendenza dai familiari o dal personale sanitario.
La malattia si manifesta inizialmente con amnesie (perdite di memoria), di cui si rendono conto più i familiari che il paziente stesso. Con il tempo altre funzioni neurologiche progressivamente vengono perse, compare difficoltà nel riconoscimento di oggetti usuali (aprassia) con impossibilità di utilizzo adeguato degli oggetti stessi, alterazione dell'umore, alterazione della capacità di giudizio.
Le demenze costituiscono delle malattie che caratterizzano sempre più spesso la terza e la quarta età. Distruggono la persona, ma non cancellano la vita: per questo la ricerca scientifica è al lavoro per migliorare la quotidianità di chi ne soffre o rischia di andarvi incontro. Questo è emerso nel 22° Congresso Nazionale dell’Associazione Italiana Psicogeriatria – AIP. Tre giorni al Palazzo dei Congressi a Firenze con 800 specialisti tra geriatri, neurologi, psichiatri che si sono confrontati sul tema.
“La demenza si può affrontare con modalità cliniche – spiega il Prof. Marco Trabucchi, Presidente AIP – Non abbiamo ancora farmaci adeguati, ma il progresso è tale che nei prossimi 2-3 anni avremo una risposta sul piano farmacologico. La ricerca scientifica si sta indirizzando verso la capacità di rallentare la formazione della sostanza beta amiloide nel cervello, la quale genera un’azione negativa sui neuroni: queste terapie mirano a una riduzione dei sintomi e a un rallentamento dell’evoluzione della malattia. Oggi adottando un altro approccio possiamo proteggere i neuroni con la prevenzione. Prevenzione significa evitare la solitudine, stimolare il sistema cognitivo, effettuare un’alimentazione adeguata e corretta, svolgere un’attività fisica che sia di almeno 500 metri al giorno. Rallentare la comparsa della malattia può voler dire anche non avere mai la malattia”.
“L’Alzheimer è numericamente la principale forma di demenza tra le malattie neurodegenerative in tutto il mondo – evidenzia Laura De Togni, neurologa, ASL 9 scaligera, Verona – Riveste circa il 60-80% di tutte le demenze di tipo neurodegenerativo. In Italia ci sono 1,1-1,2 affetti da demenza in generale, di cui il 60-80% affetti da Alzheimer, quindi circa 800mila persone. Le cause sono molteplici, non solo la patologia neurodegenerativa: molto conta anche lo stile di vita, tanto che se si attuassero le azioni preventive emanate da ogni documento scientifico (eliminazione del fumo, controllo delle malattie croniche, socializzazione, cura della depressione, ecc.) probabilmente il 30-40% delle patologie neurodegenerative non si verificherebbe. Su queste concause la ricerca scientifica va avanti: ci sono dei farmaci da 20 anni, ma oggi si guarda avanti e si stanno studiando farmaci che non agiscano sul sintomo ma sulla causa, sul processo di accumulo di amiloide. Si tratta
di anticorpi monoclonali che inibiscono i primi meccanismi patogenetici dei precursori dell’amiloide; agiscono quindi in una fase precoce. Il futuro sarà sviluppare una terapia che sia un cocktail di farmaci per agire sulle diverse cause. I primi anticorpi monoclonali sono già stati approvati negli Stati Uniti, seppur con molte ristrettezze, che sono state accentuate anche di recente (possono essere somministrati solo in pazienti in studi sperimentali, sono farmaci molto costosi senza sovvenzioni). L’EMA per ora ha bloccato l’erogazione di queste terapie, ma si spera che la situazione si possa sbloccare in breve tempo”.
Non solo Alzheimer: il panorama delle patologie neurodegenerative. “Nel periodo 2015-2017 abbiamo condotto uno studio su 450 ospedali italiani in cui abbiamo riscontrato una prevalenza del delirium del 22-23% tra gli ultra65 – evidenzia il Prof. Giuseppe Bellelli, Vicepresidente AIP e Professore Ordinario di Geriatria all’Università Milano Bicocca – Ciò significa che ogni giorno, in ogni ospedale italiano un anziano ogni 5 va incontro a delirium, che però il più delle volte non è adeguatamente riconosciuto: anzitutto perché nelle fasi iniziali è caratterizzato solo da sopore, difficoltà di concentrazione, sonnolenza; in secondo luogo, non ci sono biomarcatori, per cui non è facilmente diagnosticabile e distinguibile, ad esempio, dalla demenza. Sappiamo che il delirium impatta moltissimo sugli outcome di salute, a partire dalla mortalità: in base allo studio suddetto, a parità di età e patologie, il delirium aumenta di due volte e mezzo il rischio di morire durante la degenza ospedaliera. Il decesso è una conseguenza anche a lungo termine. Inoltre, il delirium aumenta di 12 volte il rischio di sviluppare declino cognitivo nel medio termine a parità di età e condizioni morbose. Impatta quindi in modo significativo; è un importante tema di sanità pubblica. Diventa pertanto necessario occuparsi di delirium come fattore di rischio di declino cognitivo, andarlo a intercettare in modo attivo nei pazienti ospedalizzati, pianificare per questi soggetti delle valutazioni seriate dopo le dimissioni e ragionare su possibili interventi legati agli stili di vita nell’invecchiamento”.
Intendeva la Tomografia ad emissione di positroni (Pet)?
L’esame più utilizzato per mettere in evidenza eventuali alterazioni anatomiche ippocampali o corticali caratteristiche della malattia di Alzheimer è la Risonanza magnetica, ma si studia da anni il modo di ottimizzare le analisi dei dati del metabolismo cerebrale attraverso il ricorso a un’altra tecnica, la Tomografia ad emissione di positroni (Pet).
Il punteggio sui test standardizzati sul decadimento cognitivo funziona che si deve raggiungere un minimo di punteggio per essere classificati sani. Sua nonna probabilmente non ha raggiunto il minimo quindi il test ha giustamente indicato lo stato di salute della paziente. Solo il test non è sufficiente per fare diagnosi di Alzheimer per questo le hanno fatto la PET di conferma
Tra i farmaci attualmente disponibili abbiamo quelli appartenenti alla famigia degli inibitori dell'acetilcolinesterasi che possono migliorare i sintomi della malattia e rallentarne temporaneamente la progressione, anche se c’è una notevole differenza tra paziente e paziente nel grado di risposta. Tra gli inibitori dell'acetilcolinesterasi ,che vengono attualmente prescritti gratuitamente da centri specializzati ai pazienti con malattia di Alzheimer di gravità lieve-moderata, sono il donepezil (Aricept o Memac), la rivastigmina (Exelon o Prometax) e la galantamina (Reminyl). L'efficacia di questi farmaci è simile, quello che cambia è la modalità di somministrazione (il donepezil va assunto in un'unica dose una volta al giorno, rivastigmina e galantamina più volte al giorno e a dosi crescenti) e il profilo degli effetti collaterali, quali nausea, vomito, diarrea (alcuni di questi farmaci vengono tollerati meglio degli altri, ma dipende sempre da paziente a paziente). Questo è il motivo per cui la dottoressa le ha detto di stare molto molto attenta agli effetti collaterali e di chiamarla subito in caso di problemi. Non c’è da insospettirsi ma solo da chiamarla e farle presente quanto ha osservato. La memantina (Ebixa) è generalmente utilizzata nelle forme medio-gravi e il fatto che contrasti l'accumulo di calcio all'interno del neurone non ha nulla a che vedere con le calcificazioni cerebrali (sono due fenomeni diversi). Per quanto riguarda il Neurassial è un integratore non un farmaco quindi non è stato sottoposto ad un’analisi così accurata sulla reale efficacia.
Grazie mille dott.sa farò venire mia madre a Brescia accompagnata da mio fratello.
Ci sono molti articoli sul nostro sito:
Un farmaco per l'Alzheimer avanzato
Allo studio un medicinale che ripristina le connessioni nervose
Morbo di Alzheimer_7755.jpg
Un nuovo farmaco ancora in fase di sperimentazione ha mostrato un'ottima efficacia nel contrasto del morbo di Alzheimer. Si tratta di un medicinale che punta a ripristinare le connessioni nervose danneggiate dalla patologia, e la sua efficacia è già stata testata su modello animale. Il farmaco si chiama NitroMemantine e combina due molecole già approvate dalla Fda americana.
Lo studio è a firma di ricercatori dell'Istituto di ricerca Sanford-Burnham ed è stato pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences (Pnas).
www.italiasalute.it/7755/pag2/…
La marijuana contro l'Alzheimer
Il THC ne rallenta la progressione
Possibile prima arma vincente contro l’Alzheimer
Una molecola alla base della formazione delle placche
L’origine delle formazioni tossiche nel cervello che causano la malattia di Alzheimer è stata individuata per la prima volta da un gruppo di ricerca italiano, che ha pubblicato su Nature Communications l’importante scoperta.
www.italiasalute.it/…
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www.italiasalute.it/7755/…
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